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THE INTERPRETER
(THE INTERPRETER)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 5 novembre 2005
 
di Sidney Pollack, con Sean Penn, Nicole Kidman, Yvan Attal (Stati Uniti, 2005)
 
THE INTERPRETER non può più essere quel pugno diretto allo stomaco di una attualità non ancora metabolizzata che fu I TRE GIORNI DEL CONDOR. Ma, ad immagine della Vespa vetusta che Nicole Kidman inforca bravamente nel traffico di Manhattan, Sidney Pollack capita a proposito per ricordarci ciò che abbiamo perduto. Com'era il cinema “americano”, cos'è diventato, a colpi di calcoli al computer e invenzioni digitali. Anche se assistiamo ad un thriller geopolitico dalle preoccupazioni assolutamente contemporanee girato, oltre tutto, nell'edificio dell'ONU concesso per la prima volta al cinema è infatti impossibile non riferire THE INTERPRETER al passato. Non solo perché è nella fisicità oltre che nei rinvii metafisici offerti dal continente nero di OUT OF AFRICA che il film inizia e si conclude. Non solo per i suoi riferimenti hitchcockiani (sull'asse Sean Penn – Cary Grant al mitico INTRIGO INTERNAZIONALE, al quale fu rifiutato l'accesso all'edificio; o a quella virtuosistica convergenza drammatica dei personaggi principali nella sequenza del bus ), quanto per quel modo inconfondibile di fondere il piacere dell'intrigo ad un'attenzione particolare, quasi sensuale per l'ambiente. Di sdrammatizzare, e quindi di umanizzare l'imprescindibile energia dell'impegno civile, del messaggio politico dalle caratteristiche universali nell'intimità delle relazioni sentimentali e amorose. Nelle manipolazioni che queste finiscono per subire, nelle variazioni che finiscono per erotizzarle; nelle loro complessità, che finiscono per equilibrare in intensità, come in ambiguità i temi politici e sociali a quelli del privato.

Magistero rivolto al passato; che non significa di certo passeismo. Anche se nella seconda metà la logica della sceneggiatura arrischia di farsi un po' strumentale, negarsi il piacere di quel discorso altamente civile, di quegli attori mirabilmente diretti (dal sorprendente Sean Penn confrontato al magnetismo di Nicole Kidman), di quella regia protesa negli spazi splendidamente occupati (la trasparenza delle geometrie di New York, la magia del carisma del palazzo delle Nazioni Unite, l'intimità che flirta con il voyeurismo degli interni) sarebbe operazione puramente autopunitiva.


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